Onorevoli Colleghi! - La profonda crisi economica che attraversa il mondo del calcio e il dissesto finanziario che hanno investito recentemente alcune importanti società sportive, fortemente ridimensionate o addirittura scomparse, impongono una seria e approfondita riflessione sull'opportunità di adottare efficaci contromisure volte a ripristinare maggiore trasparenza e regolarità al settore dello sport professionistico.
      Nella fattispecie si propongono alcune modifiche alla legge n. 91 del 1981, recante «Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti». Tale legge ha determinato una gestione del settore priva di controlli efficaci e in genere sempre più lassista, che ha generato i già evidenziati gravi problemi economici del mondo sportivo professionistico.
      Le parti della citata legge su cui occorre intervenire con la prospettiva di ottenere un'inversione di tendenza e raggiungere buoni risultati in un tempo ragionevolmente breve, sono le seguenti:

          a) articolo 10, in materia di costituzione e affiliazione;

          b) articolo 12, in materia di garanzia per il regolare svolgimento dei campionati sportivi;

          c) articolo 13, in materia di potere di denuncia al tribunale per la messa in liquidazione delle società.

      L'articolo 10 è quello che, novellato dal decreto-legge n. 485 del 1996, convertito,

 

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con modificazioni, dalla legge n. 586 del 1996, ha di fatto introdotto il fine di lucro nel mondo sportivo professionistico e la conseguente possibilità per le società sportive di quotarsi in borsa. Svincolare le società sportive dall'obbligo del reinvestimento degli utili nell'attività sportiva ha esaltato il carattere imprenditoriale delle stesse, con rilevanti conseguenze per l'intero ambito sportivo.
      A titolo esemplificativo, si rileva che le società sportive sono state indotte a indebitarsi, accumulando anche forti passività, allo scopo di avere nel breve-medio tempo un ritorno economico tale da risollevare la propria capacità finanziaria e raggiungere un saldo attivo.
      Appare tuttavia evidente che se tale rischio di impresa è accettabile in termini generali, desta notevoli perplessità nel contesto sportivo, dove il venire meno di una società ha ripercussioni sulle altre che partecipano alla stessa competizione, con negative conseguenze sulla regolarità dei campionati e sulla tutela dell'interesse degli appassionati.
      Diviene pertanto necessario reintrodurre l'obbligo di investire gli utili delle società in parola per il perseguimento esclusivo dell'attività sportiva ed evitare la dispersione di importanti risorse. Del resto l'eliminazione del fine di lucro per le società sportive professionistiche rende anche più giustificabile un atteggiamento di benevolenza normativa e fiscale altrimenti assolutamente arbitrario.
      Le modifiche apportate dal citato decreto-legge n. 485 del 1996 all'articolo 12 e dal decreto legislativo n. 37 del 2004 all'articolo 13 della legge n. 91 del 1981, hanno, di fatto, svuotato le federazioni sportive nazionali da ogni efficace preventivo potere di indagine sulle società sportive.
      Attualmente le federazioni hanno notevole difficoltà a esercitare controlli e mancano di adeguati strumenti per inserirsi nella valutazione della capacità economico-finanziaria delle società, necessaria e sufficiente per la partecipazione al campionato.
      Si evidenzia, inoltre, che anche di fronte ai casi di dissesto più gravi, l'attività federale è ora limitata alla sola possibilità di richiedere, ai sensi dell'articolo 2409 del codice civile, l'intervento dell'autorità giudiziaria, mentre prima del 1996 la federazione poteva direttamente promuovere al tribunale la messa in liquidazione della società in difficoltà.
      I noti avvenimenti verificatisi nella estate del 2003 nell'ambito della Federazione italiana gioco calcio riguardo la presentazione di garanzie economiche del tutto artefatte ad opera di alcune società sportive, hanno sollevato pesanti dubbi sull'opportunità di far svolgere l'attività di controllo da parte di organi interni alla federazione sportiva nazionale, evidentemente non indipendenti e di fatto non completamente autonomi nelle proprie valutazioni.
      In ragione di quanto avvenuto in ambito anti-doping, dove si è deciso di istituire un'unica procura del Comitato olimpico nazionale italiano (CONI) che opera nei confronti di tutte le federazioni sportive nazionali, l'introduzione di un'Autorità di controllo sulle società sportive professionistiche, di nomina del CONI al di fuori delle federazioni sportive nazionali e realmente autonoma e indipendente, sembra costituire un semplice ed efficace strumento per poter esercitare un serio e puntuale controllo sullo stato economico-finanziario delle società in questione e pervenire in tale modo a un vero risanamento del settore, evitando il ripetersi delle gravi degenerazioni che si sono verificate in questi ultimi anni.
      Si rappresenta che l'Autorità di controllo dovrebbe essere nominata dal CONI e che la disciplina relativa all'organizzazione e al funzionamento della stessa dovrebbe essere demandata a un successivo regolamento da emanare da parte del CONI stesso entro il termine di sei mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
      Tale importante novità istituzionale deve tuttavia essere accompagnata dal conferimento alla citata autorità di alcuni penetranti poteri di controllo sulle società e della facoltà di richiedere la messa in liquidazione delle società stesse.
 

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